domenica 30 agosto 2009

la magia del primo giorno

Non mi chiedo quale sia il senso profondo, se ce ne sia uno, per cui abbia deciso di accettarlo, o meglio, di scegliere il digiuno (Saum). Ancor meno potrei spiegare il senso di un Ramadan occidentalizzato, in cui non mangiare dall’alba a tramonto ma bere per non disidratarsi. Dov’è la purificazione senza l’acqua?
A chi chiede respondo che si, “Asumu, walakin ashrubu qalilan”, digiuno, ma bevo un po’! In generale si divertono nel vedere occidentali nel tentativo di islamizzazione.
Alcuni parlano del saum come di una buona pratica peri l benessere del corpo, altri dicono “fai bene, si inizia piano piano ad essere musulmani”.
Islam è pratica sociale, condivisione sociale, musulmano è ciò che fai non ciò che sei.
Agli occhi dei molti dunque il mio digiunare può apparire come un’iniziazione rituale. Poco importa.

La pace del primo giorno si sente sulla pelle, nell’aria, nel silenzio di una città semi dormiente. I prati di Tunis abbracciano corpi che riposano all’ombra delle palme e delle magnolie, tra l’erba assetata. Siedo con A. Anche noi in questo giardino di Ramadan ad atendere l’addormentarsi del sole. La calma. Sono le quattro, le cinque, le sei del pomeriggio e il nostro parlare sottile non disturba la pace del saum.
L’iftàr, l’interruzione del digiuno, è previsto alle 7.10. Fino a quel momento è la volonta di Dio ad agire sul fare degli uomini.
Mi incammino da Jumhuria ad Avenue Habib Bourguiba, al centro della capitale, mancano venti minuti alle 7, la temperatura scende con il sole, gli uomini e le donne, trasparenti, rientrano alle loro case.
Sono le 7 e io sola siedo sulle scale ancora calde della Cattedrale. Attorno a me pochi, poi nessuno. Nessuno. La voce del muezzin ci richiama a Dio, poi regna il silenzio di bocche che saziano quella fame che, ci insegnano, conduce al Paradiso.
Sembra una città morta e invece è una città che si nutre. Si nutre per esplodere. Tra breve infatti, poco più di un’ora, sarà festa nelle strade, sarà la musica e il camminare della gente, sarà i bambini con le loro corse, i palloni e l’allegria. Saremo noi, i saluti e lo scambo di sorrisi, saranno i nostri passi verso la condivisione e la pace.

Piace a Dio questa notte di Ramadan.

domenica 23 agosto 2009

Aspettando il Ramadan e Ramadan

Venerdi-Sabato
Gli occhi sono rivolti al cielo.
Milioni di persone attendono la voce della Luna per iniziare ad inseguire il Sole.
Non un ttesa immobile quella dei giorni che precedono la festa, al contrario le strade fremono di gente che sembra impazzire dietro gli acquisti, i supermercati si svuotano, le donne e gli uomini tagliano i capelli, nelle case è il momento delle grandi pulizie, si cambia la disposizione dei mobili nelle stanze, tutto assume un'aria di cambiamento nel ripetersi della tradizione.
La "coca cola" e la "boga" sugli scaffali prendono il posto dei vini e degli alcolici tanto apprezzati dai tunisini nella quotinianeità.
Si dice che porti sfortuna che il Ramadan inizi il venerdi. Voci di popolo.
Cosi, è nella notte tra il venerdi e il sabato che si dà inizio al mese della purificazione.

Mamma Z. si affaccia alla porta della mia stanza, mi sveglia per la colazione. Sono le 3.30 del mattino. Papà M. resta a dormire, non essendo in piena salute non partecipa al digiuno.
E' buio, scendo con i tre fratelli al piano terra, apparecchiamo la tavola disposta appositamente per l'occasione. Dalla finestra vediamo l'accendersi pian piano di tutte le luci del quartiere, sentiamo il levarsi delle sue voci. Il pasto è ricco, la particolarità ci dice Z. è il Masfouf un prodotto simile al cous cous condito con molto, molto zucchero e acini d'uva o, a seconda della stagione, datteri, melogrno, uva passa.
4.10, Il canto del mouezzin e i passi dei fedeli verso la moschea sotto un cielo di stelle. Riponiamo il cibo al suo posto, inizia il digiuno.
Z. e il fratello tedesco tornano a dormire.
Esco con gli altri due, ci sediamo sui gradini davanti alla porta, nel cortiletto che fa da ingresso all'appartamento.
Nessuno prega nella nostra casa. F., sorella italiana in più accezioni di significato, mi invita a farlo insieme. Leggiamo in francese alcuni passi del Vangelo, li sussurriamo all'aria, il fratello inglese ci guarda e ci ascolta. Le nostre voci, la voce della preghiera che si innalza e si amalgama a quella dell'Umma, al canto del mouezzin. Ci sentiamo uniti nello spirito in grande profondità.
La spiritualità che non ha religione.
Ritorniamo alle nostre stanze, il cielo inizia a schiarirsi, tra poche ore la sveglia e il Mahda Bourguiba.

Più ricchi di ieri.

Rahla

Il deserto, il viaggio.
Mi allontano dal conosciuto avvicinandomi, inoltrandomi in me stessa.
Non nell'infinito di una siepe ma disegnati dai miei occhi, eccoli sorgere interminati spazi e sovraumani silenzi. Il deserto. L'immensità ocra, il caldo elle rocce e della sabbia sotto i piedi nudi, l'afa, l'umanità immobile, l'esistenza come miraggio.
Ammiro il divino.
Qualche passo, un sentiero tra la pietra ed ecco Dio farsi ancora in Terra, carne, materia, natura. Acqua. L'acqua ad allietare i nostri corpi che in essa si immergono, la rinascita dello spirito dal corpo, il battesimo, la purificazione. L'unione.
E mi vengo a cercare. Il viaggio come liberazione. Mi libero dal conosciuto della mia casa, dalla ripetizione di giorni alienati e nell'ignoto, nel perdermi in esso, mi ritrovo. D'improvviso l'ignoto sono io.
Cittadina del mondo, nella dimora del mio corpo...

martedì 11 agosto 2009

Impressioni

Oltrepasso il gate ed e' proprio la Tunisia. Non appena si aprono le porte, centinaia di persone davanti ai miei occhi, ammucchiate le une sulle altre, strette, decine di cartelli si affacciano sopra le loro teste, il mio nome da qualche parte, ma dove? Come sara' M.me "Z."?
La immagino. Grossa, velata in colori scuri, dalla pelle olivastra e gli occhi scuri e distanti, sorridente, premurosa, silenziosa, curiosa.
Eccolo, devo essere io: Immanuel, qualcosa del genere. Ho una zia di Barcellona che insiste a chiamarmi Emannuella, lettera piu' lettera meno. Dunque, sono io. "M.me Z.?" Chiedo. Sorride la mamma, mi bacia, e' piccola di corporatura, ha un cappellino bianco in testa (per ripararsi dal sole di mezzogiorno mi spieghera' poi, "il fait chaud, il fait tres chaud"...), la pelle chiara, gli occhi verdi, i capelli castani ricrescono sotto un falso biondo, e' stanca per l'attesa, subito mi dice che quel giorno era la seconda volta all'aeroporto e che ce ne sarebbe stata un'altra. Accanto a lei, silenzioso, un ragazzo magro magro dai lineamenti orientali. "Ahmed" si presenta timido. "Sara' il figlio" penso, "che bello una famiglia mista, magari il papa' e' chesso', cinese...".
Ahmed e' indonesiano, non si chiama Ahmed, rimarra' ancora pochi giorni prima di tornare a Londra dove vive con il suo nome reale. Quando partira' mamma Z. sara' molto triste. Ahmed e' anche lui come me uno studente, siamo fratelli. Entro in casa, siamo numerosi i primi giorni di passaggio tra il mese di luglio e quello di agosto. America, Inghilterra, Francia, Indonesia, Italia, Tajikistan, Germania, certo, Tunisia.
Papa' "M." lo incontro di sera, e' simpatico, discreto, colto, educato, di mentalita' aperta (occidentale che non sono altro).
No, non e' la famiglia tradizionale che pervade l'immaginario comune, tanto comune da essere anche il mio, tanto comune da far si che io immagini una M.me "Z." tanto lontana dalla vera "Z.".
Subito, dal primo momento mi faccio l'idea di questa come una famiglia opposta ad un'altra famiglia ideologica, quella del cous-cous nel pentolone e dell'agnello in giardino, dei veli e del Corano. E' come se prendessi M. e Z. e gli escludessi dall'essere tunisini autentici.
Stesso vale a dirsi per le localita' o le strutture turistiche, e' luogo comune dire o sentire frasi del tipo "Hammamet non e' la vera Tunisia", ci si sente grandi conoscitori dopo frasi del genere.
Tunisia invece, io credo sia tanto la famiglia detta tradizionale, quanto Z., M. o Hammamet.
"Autenticita'" e' una parola pericolosa.
Autenticita' come fissita' e' museo, e' incompatibile con una realta' dinamica, immaginare un mondo fisso e' deviante, l'idea di autentico come incontaminato e' inverosimile. Come puo' essere incontaminato il mediterraneo? Sono io forse italiana, da romana, nata e cresciuta in una metropoli, cosa ho io dell'Italia delle tradizioni popolari, della pizzica o della polenta?
Mi accorgo che cio' che mi distingue o mi caratterizza in generale, attinge solamente ai modi di esprimersi, alla lingua, ai gesti. A cio' che ho imparato ad essere.
Eppure, questo senso di diversita' ben presto sfuma e affiora una certa familiarita'. Inizio a riconoscere, dunque conoscere.
In un certo modo, sono a casa.
Tunisi come Roma, capitale, centro di interesse commerciale, traffico, ora di punta, passi affrettati sui marciapiedi, autobus affollati, centri commerciali, shopping, spesa, che ore sono?, bar.
Mi piace la tangibilita' di questa citta'. Tunisi e' viva, vissuta, esperibile. Penso a Montecarlo per contrasto. Montecarlo e' li', immobile, irraggiungibile, irreale, siedi in un bar con il croissant, tutto e' in ordine, pulito, perfetto, tutto e' fumo, cinematografico. Monaco resta negli occhi, nella memoria, come un bel dipinto, una cartolina.
Tunisi no. Tunisi entra nella pelle. Sudi, ti sporchi, bevi il te' a tutte le ore, ti fai spazio tra la gente...

Eppure...la liberta'?

martedì 4 agosto 2009

dall'alto

Sidi Bou Sayd.
Sono seduta in un bar, dopo una lunga salita, poi ancora un po’ un più su, alla fine della scalinata, in un Piccolo paese a pochi kilometri dalla capitale. Sidi Bou Sayd è un assaggio di paradiso Bianco e celeste, Bianco e celeste come tanti piccoli paesi del nostro caro Mediterraneo. E qui, da questo tavolino celeste anch’esso posso vedere il mare di la dalle case e dai loro tetti.
L’inglese sorseggia un tè alla menta rinunciando al suo latte, io bevo una limonata sentendomi a casa.
Il sole scende piano, finalmente l’aria si rinfresca, mi sento rinascere nonostante porti ancora addosso, sulla pelle, una giornata fatta di taxi, di strette aule universitarie, di strade Della Tunisi che tanto è lontana e diversa dai colori che ho ora negli occhi.
Tunisi non è la Tunisia, ne è un piccolo aspetto, un cromosoma solamente. Tunisi è un via vai di gente in corsa, è sudore, è automobili che suonano senza sosta né pietà è sporcizia in ogni dove, è bottiglie vuote e lattine e sigarette e avanzi di cibarie, è carretti di fichi d’india o lustrascarpe, è uomini che non ti tolgono lo sguardo di dosso, donne che ti scrutano sommessamente, è insetti.
E tanto piu’ questo mi diventa familiare, tanto piu’ me ne allontano. Non sembra esserci vera empatia o comprensione, piuttosto un adagiamento all'idea che vivere in un modo altro è possibile. Sono qui per essere diversa per sentire la diversità e farla mia.
Adesso, con il mare negli occhi, quel mare che tanto so amare, qui, mi sento di poter tirare un respiro profondo.
L’inglese scrive, anche lui. Chissà di che. Magari ha gli stessi pensieri.

giovedì 30 luglio 2009

she is benediction
she is addicted to thee
she is the root connection
she is connecting with he

here I go and I don't know why
I fell so ceaselessly
could it be he's taking over me...

I'm dancing barefoot
heading for a spin
some strange music draws me in
makes me come on like some heroin/e

she is sublimation
she is the essence of thee
she is concentrating on
he, who is chosen by she

here I go and I don't know why
I spin so ceaselessly,
could it be he's taking over me...